Casanova: non solo un libertino

Casanova: un mito che resiste da più di due secoli. Stuzzicando l'immaginario collettivo femminile e la baldanza dei maschi alle prese col gentil sesso. Il dizionario Garzanti, alla voce "casanova", riporta la seguente definizione: "Chi ha successo con le donne. Donnaiolo. Dal nome di Gian Giacomo Casanova (1725- 1798) celebre avventuriero veneziano."

Chissà se questo affascinante tombeur de femmes dell'ancien régime avrebbe mai immaginato di trovar ospitalità fra le pagine d'un vocabolario del terzo millennio e proprio in virtù della sua fama di sciupafemmine? Un destino che lo accomuna a "dongiovanni", suo omologo letterario, menzionato - ironia della sorte! - appena prima della parola "donna".
Casanova, dongiovanni: nel linguaggio corrente, fungono quasi da sinonimi. Moderni eroi della vitalità e del piacere - inclini ad abbracciare le lusinghe della ribellinone - sia Casanova che Don Giovanni affermano se stessi al di là di ogni morale preconfezionata, per imprimere alla propria vita, se non il marchio del capolavoro, quanto meno un sigillo di originalità. E poco importa che tale traguardo sia conseguito a costo dell'infamia. Quel che più conta è esorcizzare l'oblio. Lasciare almeno una tenue traccia di sé. Paladini della libertà, sacerdoti del puro presente e simboli di eterna giovinezza, entrambi agiscono all'insegna di un individualismo sfrenato, costantemente in bilico fra bene e male, fra l'irrazionale del mondo e la brama di fabbricare momenti perfetti, indimenticabili.
Don Giovanni incarna l'archetipo dell'inganno ordito ai fini della conquista galante e, vittima d'un desiderio sensuale insaziabile, è spinto a reiterare il rito della seduzione fine a se stessa. Così si attorciglia in un "gioco delle tacche" meccanico e alienante, nella ricerca ossessiva d'una continua conferma della propria virilità. Quella sua incoercibile pulsione all'accoppiamento potrebbe al massimo celare un inconscio, istintivo bisogno di conoscenza dell'altro. Ma il coinvolgimento sentimentale è scongiurato comunque.  
Casanova rimane invece impigliato nelle maglie della passione che egli stesso ispira, e scatena. Lui pure ha al suo attivo incontri meramente carnali, avventurette vissute sotto il segno d'un erotismo gioioso, spregiudicato, pagano, non aduggiato dal senso di colpa. Però Casanova sa anche innamorarsi e, per amore, spasima, sogna, lotta, pregusta, vagheggia. E  patisce. E' tenero, generoso, ricco di slanci. E lo ritroviamo ebbro di felicità, disperatamente geloso, incupito di nostalgia e, se viene abbandonato - o tradito - ne soffre da morire. Non c'è declinazione del sentimento amoroso che egli non sperimenti. Sebbene assai effimeri, insomma, in genere i suoi amori sono sinceri.    
Proteiforme ed eclettico finché si vuole, Casanova fu unico, irripetibile, e coi piedi ben piantati nella storia. Mentre i Don Giovanni virtuali, figli del genio artistico, sono un'infinità. A partir dal Burlador de Sevilla, ideato nel 1630 dall'abate e drammaturgo Tirso de Molina. Paradigmatico il Don Giovanni tratteggiato da Lorenzo Da Ponte e reso immortale dalla musica di Mozart. Fra parentesi, pare che Casanova frequentasse Mozart, suo confratello in massoneria. Confermata poi l'ipotesi di una collaborazione di Casanova alla stesura del libretto del Don Giovanni. Da Ponte aveva conosciuto Casanova, lo cita nelle sue "Memorie", e gli dedica una dozzina di pagine. Non troppo lusinghiere, a onor del vero. Poca simpatia per Casanova dimostrarono il Foscolo, Croce e Carducci. Per non parlare di Federico Fellini! Ben nutrita, viceversa, la schiera dei casanovisti convinti, studiosi o semplici estimatori. E ricchissima la saggistica su Casanova. La sua vita rocambolesca ha ispirato imperdibili versioni romanzate: "La Conversione di Casanova" di Hesse;  "Il ritorno di Casanova" di  Schnitzler; "La recita di Bolzano" di Marai;  e "Dux", un breve racconto di Vassalli.
Casanova sforna letteratura a ritmi vertiginosi. Diciassette raccolte di lettere e quarantatre opere, fra lunghe e brevi: sonetti e madrigali; testi teatrali e trattati di matematica, geometria, astronomia; una traduzione parziale dell'Iliade da far invidia al Monti, coi primi canti anche in veneziano; "Lana caprina", saggio satirico diretto a smontare l'assunto che nelle donne l'utero avesse la meglio sul cervello; la "Istoria delle turbolenze della Polonia", una disamina rigorosissima; "Soliloque d'un penseur", pamphlet in cui l'autore si scaglia - da autentico esperto in materia - contro i maghi e gli avventurieri di quell'epoca; "Icosameron", un romanzo di fantascienza degno del Verne...
Il fulcro della sua produzione rimane tuttavia "La storia della mia vita". Difficile non restarne folgorati: 4546 pagine caratterizzate da un tasso di veridicità elevatissimo, da leggere tutte d'un fiato. Ne fu stregato anche Stendhal. Non solo lo stile è garbato, ironico, avvincente. Ma al lettore si offre il tessuto narrativo di una vita già di per sé straordinaria, e che oltretutto costituisce una testimonianza di eccezionale valore storico per meglio inquadrare il secolo dei lumi.
Casanova si reca infatti nelle maggiori città italiane. Spesso all'estero, visita Corfù, Costantinopoli, la Russia, Parigi, Londra, Praga, Vienna.  Viaggia in Spagna, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda, Polonia. E, a un certo punto, progetterà persino di emigrare in Madagascar.
"Figura prestante, sguardo magnetico, splendida conversazione" - la definizione è di Piero Chiara - viene accolto nelle principali corti europee. Incontra Cagliostro, Goldoni, Voltaire, Rousseau, Papa Clemente XIII, Federico Guglielmo II di Prussia, l'imperatrice Caterina II, alla quale suggerisce una riforma del calendario russo... S'accompagna a principi e bari, banchieri, letterati e cardinali; e intanto corteggia nobildonne, attrici, monache e servette. Si trastulla nelle alcove, non disdegna le orge e dissemina figli un po' ovunque. Talvolta ha la ventura d'incrociarli. A Napoli s'invaghisce di un'incantevole adolescente. Al punto da chiederla in sposa. Lui trentasei anni, lei diciassette. Ma, appurato che si trattava di sua  figlia, abbandonerà l'impresa. Coraggioso e un po' incosciente, si batte a duello a colpi di spada o di pistola, a seconda dell'evenienza. Attratto dalla magia, pratica la cabala, pur senza tralasciare gli studi scientifici. Bazzica i bordelli, i balli in maschera e le bische. Sfida la fortuna giocando a picchetto, al quindici, a faraone, a biribissi. In Svizzera, vittima di una crisi mistica, vuol farsi monaco. A Londra, intende suicidarsi. Verrà espulso dalla Francia, da Torino, da Firenze, dalla Polonia. Incarcerato nei Piombi, riesce a fuggire e, già anziano, pubblicherà la "Histoire de ma fuite". Aveva ventinove anni quando fu arrestato. Correva l'anno 1755. Il soggiorno in galera parve placarlo un po'. Come ammetterà lui stesso: "I piombi in quindici mesi mi consentirono di conoscere tutte le malattie del mio carattere." Ciò non gli eviterà di finire di nuovo in gattabuia: al Fort  l'Eveque e nella torre di Barcellona. Nel 1774 rientra a Venezia, dopo diciott'anni di peregrinazioni e peripezie. Nove anni più tardi, nel 1782, si guadagna il secondo esilio dalla sua città, quello definitivo. Per aver pubblicato un libello dal titolo "Nè amori né donne, ovvero la stalla ripulita", di cui si serve per svelare - mediante artifizio letterario - la propria origine in parte patrizia. Sua madre aveva difatti intrattenuto una relazione adulterina col nobile Michele Grimani. E appunto da tale unione era nato lui. Non contento, Casanova rivela un altro retroscena scandaloso: Zuan Carlo, ritenuto il rampollo della famiglia Grimani, in realtà era figlio di Sebastiano Giustinian, l'amante della moglie di Michele Grimani.    
Un'esistenza non certo noiosa, la sua. Casanova riceve la tonsura e i quattro ordini minori. Si laurea in legge, a sedici anni, e fa pratica di avvocato. Passa da un'occupazione all'altra: soldato, violinista, attore, segretario d'ambasciata, editore, titolare di una ricevitoria del lotto, agente in missioni segrete internazionali e confidente degli inquisitori (ma non denuncerà mai nessuno!). Infine bibliotecario del conte di Waldenstein, nel castello di Dux, in Boemia, dove passerà mestamente gli ultimi tredici anni della sua esistenza. Lì porterà a termine la "Histoire de ma vie", poi pubblicata postuma - in lingua tedesca e in forma espurgata - solo nel 1822. In Italia, per la prima trascrizione completa del manoscritto, bisognerà attendere il 1914.  
Secondo il critico Spagnoletti,  la "Histoire de ma vie" di Casanova rappresenta "il certificato di nascita del romanzo moderno." E Comisso ha sostenuto che quest'opera - benché redatta quasi per intero in francese, ad eccezione della parte relativa a "Il duello"- avrebbe meritato un posto di riguardo nella letteratura italiana. Per il retaggio di una mentalità retriva e bacchettona ancora oggi essa risulta viceversa bandita dai nostri programmi scolastici. Peccato, una grossa opportunità mancata! Perché, in effetti, se i giovani scoprissero l'universo furfantesco, illuminante e fantastico del Casanova, oppure si accostassero magari a libri come "Le Mille e una notte", il "Don Chisciotte", "L'asino d'oro" di Apuleio o le "Metamorfosi di Ovidio"... allora, forse, imparerebbero ad amare la lettura.

Testo a firma di Lidia Sella
dicembre 2006