La tempesta perfetta?

In un recente comunicato l'agenzia di rating internazionale Standard&Poor's lancia un grido di allarme ed evoca una sorta di monito globale, notando che le numerose scadenze finanziarie dei principali debiti sovrani potrebbero coincidere con un momento particolarmente delicato per i mercati.

Di recessione dei principali paesi occidentali e di già elevata crisi di fiducia nell'attuale sstema monetario. Tutti fattori che lasciano temere che ricorrano le stesse condizioni da "tempesta perfetta" che giá una volta hanno generato la spaventosa depressione del 1929.

Non si tratta soltanto di prendere o meno per buone le considerazioni /previsioni di Standar&Poors (peraltro essa cita alcuni inconfutabili dati statistici e delle altrettanto certe scadenze di debito pubblico da rifinanziare) bensì invece di comprendere in quale più ampio quadro possiamo inserire questa informazione e cosa dedurne in termini macroeconomici e industriali.

È SUFFICIENTE STAMPARE ALTRO DENARO?

Quel che fino a qualche settimana fa poteva sembrare un'eroica cura da cavallo che Draghi aveva somministrato ai mercati con il varo di due programmi LTRO da mille miliardi di € ciascuno, si sta purtroppo rivelando l'equivalente di una pasticca di aspirina il cui effetto sui mercati sembra essersi già esaurito!

Appare chiaro oggi che il maggior ammontare di banconote che le principali banche centrali occidentali dovranno/potranno stampare deve soddisfare forse troppe esigenze contemporaneamente, quali :
- il rinnovo del debito pubblico,
- gli incentivi alla crescita delle economie reali,
- i fondi per incrementare il credito all'industria,
- la liquidità per assicurare solidità al sistema bancario .

Per questo motivo è facile dedurre che non potremo contare esclusivamente sulla BCE per trovare un sollievo all'attuale stagnazione economica, ma anche e soprattutto che l'ammontare necessario a rimpiazzare la caduta verticale della base monetaria andata distrutta con la recessione degli ultimi quattro anni potrebbe arrivare a svariate decine di migliaia di miliardi di euro (avete letto bene!), con potenziali conseguenze inflattive e di turbativa dei mercati che ad oggi nessuno è davvero in grado di prevedere.

IL FANTASMA DI UNA NUOVA GRANDE DEPRESSIONE

Lo scenario apocalittico di uno "schema-Ponzi" (ma oggi potremmo chiamarlo "alla Madoff") di portata planetaria in cui le banche centrali riforniscono le loro controllate del denaro che serve a sottoscrivere il debito pubblico lucrando la differenza tra il costo del denaro e il tasso dei titoli così acquistati, lascia intuire che non è con le illusioni collettive del denaro facile che le economie occidentali potranno davvero salvarsi dalla prospettiva di un fallimento a catena.

Tale scenario proviene da mere somme aritmetiche e giunge in un delicato momento in cui tra l'altro gli americani stanno iniziando a parlare del possibile " Contagio"' che le peggiori economie occidentali (e in particolare europee) potrebbero esercitare nei loro confronti, tanto a causa della recessione interna quanto dell'insostenibilità dei debiti pubblici come infine in termini di debolezza del loro sistema bancario, generando una sorta di panico finanziario collettivo.

E non hanno purtroppo tutti i torti!

Ciò che è accaduto nel 1929 è stato esattamente questo: una generalizzata crisi di fiducia nel sistema dei pagamenti.
Solo che allora il contagio ha funzionato al contrario: la corsa ai depositi dalle banche l'hanno avuta gli americani e la conseguente grande depressione l'ha sofferta il resto mondo.

Possiamo perciò ancora restare perciò ottimisti oppure le evidenti nuvole che si stanno addensando devono spingerci a rivedere le precedenti conclusioni?

LA PROSPETTIVA DI UN GRANDE PIANO DI SALVATAGGIO

Nella mia newsletter del primo maggio ho accennato all'idea (non certo solo mia) che l'Europa possa varare, con l'ausilio delle principali potenze del mondo, una sorta di nuovo "Piano Marshall", basato su una massiccia dose di privatizzazioni (volte a ridurre i debiti pubblici e a rifornire di beni tangibili coloro che decideranno di ricorrere al finanziamento concertato dalle banche centrali per stimolare ulteriormente le economie europee), oltre che un programma di finanziamento dedicato alla costruzione di nuove importanti infrastrutture di base.

Ciò per due grandi motivi:

1) lo scenario globale non è ancora così compromesso e peraltro ci sono anche motivi di relativo ottimismo (quali la seppur rallentata continua crescita dell'economia mondiale, a causa del traino dell'emisfero orientale) oltre a quelli arcinoti di possibili nuovi stimoli alla crescita economica provenienti dall'innovazione tecnologica nonché dall'aumento dei c.d. consumi cospicui (lusso e molto altro) da parte dei numerosissimi nuovi ricchi dei paesi asiatici e degli altri paesi emergenti e in via di sviluppo;

2) il mondo occidentale non sembra poi così ottusamente votato all'autodistruzione e pertanto c'è da attendersi che i suoi organismi nazionali e sovranazionali metteranno in campo tutto il possibile sforzo per rilanciare la crescita, dopo che la crisi di fiducia partita dagli USA nel 2008 ne ha danneggiato i fondamentali e fortemente ridotto la base monetaria in circolazione.

Per questi due motivi indicavo recentemente da un lato una negativa intonazione di fondo di tutti i mercati finanziari per almeno qualche mese, dall'altro un cauto ottimismo nell'auspicare che il pendolo della crescita economica sarebbe presto dovuto tornare a oscillare nella direzione opposta.

LA NECESSITÀ DI COORDINAMENTO

Poi però ho dato un'occhiata tanto alla citata ricerca di Standard&Poor's quanto al saggio di Ian Bremmer: "Every Nation for Itself: Winners and Losers in a G-Zero World", un politologo di fama internazionale quest'ultimo che mi ha seriamente messo di cattivo umore con la sua tesi: in un mondo che ha perduto tanto la sua leadership naturale anglosassone quanto la polarizzazione dovuta alla guerra fredda , oggi ogni governo lavora per sè stesso e la possibilità che il disordine mondiale che ne risulta lasci il posto a un coirdinamento internazionale resta limitata, lasciando prevedere lunghi anni di scossoni di assestamento su tutti i mercati, fintanto che una nuova nazione leader non emergerà sulle altre anche dal punto di vista del proprio dominio sulla moneta e sui mercati.

La questione non é di poco conto visto che la tempesta economica internazionale necessiterebbe di un forte coordinamento per combatterla e che viceversa la mancanza di una leadership mondiale non facilita tale coordinamento.

E ne ho dedotto che lo scenario "stagflazionario" di coesistenza di iper-inflazione e recessione che potrebbe delinearsi e non trovare nei principali paesi industrializzati quella coesione necessaria a combatterlo non è più una solo la fantasia di qualche pessimista, bensì una possibilità assai concreta.

Ottantatrè anni dopo la crisi del 1929 il mondo sta fronteggiando la relativa probabilità che si inneschi di nuovo una generalizzata crisi di fiducia nella tenuta del sistema monetario internazionale.

IL RISCHIO DI UNA SFIDUCIA GENERALIZZATA

Infatti i paesi europei più a rischio, nello sperare di "monetizzare" il proprio debito affogandolo e rifinanziandolo nel calderone di una BCE che stampa denaro a tutto spiano e lo presta quasi gratis a banche che ci sottoscrivono i titoli di stato che nessun altro vuol comprare, non hanno tenuto conto del fatto che il combinato disposto di molti debiti nazionali e di molte necessità da parte del sistema bancario richiedono alla BCE (come pure alla FED) di moltiplicare gli attuali sforzi e stampare molti nuovi Euri porta la conseguenza di generare sfiducia nel sistema finanziario internazionale ed enormi aspettative inflazionistiche e di svalutazione della moneta europea.

Da notare che nemmeno i paesi europei considerati "non a rischio" se la passano poi granché bene, con la stragrande maggioranza degli economisti che oggi sostiene che non solo Grecia, Irlanda e Portogallo siano giunti quasi al default, ma che anche la situazione della Spagna è fortemente a rischio, con un possibile immediato effetto-domino su Italia e Francia, dato l'elevatissimo indebitamento pubblico e la scarsa compatibilità politica di questi paesi con la necessità di una decisissima Austerity (l'unico programma economico che non genererebbe un'inflazione a go-go).

Se ci aggiungiamo le aspettative di crescita economica negativa e grande fragilità del sistema bancario (pieno di crediti industriali e immobiliari che non sarà facile farsi rimborsare), comprendiamo bene che le cose oggi si complicano assai!

In definitiva i circa €45mila miliardi che Standard&Poor's stima saranno necessari per rifinanziare i debiti pubblici in scadenza (30mila miliardi) nonchè i programmi infrastrutturali e di stimolo alla crescita dei consumi (15mila miliardi) sono probabilmente tutti veri e non contemplano nemmeno il valore dei titoli in scadenza delle banche occidentali le quali dovranno trovare anch'esse il modo di rifinanziare il loro elevatissimo leverage (in particolare le grandissime e indebitatissime banche francesi, capaci di un debito totale pari a circa quattro volte il debito pubblico nazionale francese)!

I MOTIVI DI RELATIVO OTTIMISMO

Giunti perciò alla conclusione del perché gli economisti "apocalittici" evocano il peggio, abbiamo anche potuto osservare che stavolta le loro argomentazioni sono assai fondate. Ciò non di meno, la storia ci insegna che, da Maltus ai giorni nostri, gli economisti sono sempre stati eccessivamente pessimisti, e che -malgrado loro- il mondo non solo continua a girare, ma spesso si evolve in meglio!

Come? Con la sua complessità, che non riusciremo mai ad inserire del tutto nella più potente delle nostre simulazioni statistiche, nel più potente dei nostri modelli previsionali.
La storia ci insegna che l'estrapolazione delle variabili conosciute non è di per sè sufficiente a predire seriamente il futuro.

Accadono continuamente nuovi eventi che smentiscono le previsioni degli economisti e davanti ai nostri occhi ce n'è uno assai macroscopico: la progressiva emancipazione economica dei paesi in via di sviluppo (a partire dai BRICS, che ormai lo sviluppo lo stanno letteralmente cavalcando).
Molti dei quali paesi appaiono quasi ininfluenti sugli stock patrimoniali e debitori globali sin qui considerati, ma le cui nuove generazioni e il reddito che esse si accingono a produrre sarebbero capaci di generare tanta crescita economica quanta ne servirebbe al mondo occidentale per controbilanciare i propri debiti in scadenza !

Nella mia ultima newsletter ho accennato chiaramente alla possibilità che un cosiddetto Piano Marshall posa basarsi su un ingente programma di privatizzazioni (e in generale di vendita di grandi assets) che sarebbe possibile finanziare ex-novo senza generare necessariamente inflazione.

Lo credo fermamente, anche se non sono così sicuro della lucidità di chi ci governa, e della conseguente possibilità di risparmiarci l'ennesima crisi globale. Più difficilmente ancora i nostri banchieri centrali riusciranno invece a risparmiarci una nuova fiammata di inflazione dei prezzi.

DELEVEREGGIARE O ASSICURARSI NUOVE RISORSE A LUNGO TERMINE?

Ma c'è dell'altro: nel mondo risuona sempre più frequentemente il mantra del "deleveraging"! Tutte le principali istituzioni e le principali aziende del pianeta sanno che l'accesso al credito -comunque vada- per qualche tempo sarà fortemente limitato se non proprio a rischio! E tutte stanno cercando delle soluzioni al possibile problema.

Dunque non si tratta soltanto di problemi delle monete globali, dei massimi sistemi e dei banchieri centrali, bensì anche dell'uomo comune alle prese con il mutuo per la prima casa, o del piccolo municipio, alle prese con il finanziamento del raccordo stradale fuori porta!

Il sistema bancario (e non solo in Francia) come quello industriale dovranno a loro volta passare da un deciso de-leverage e non vedo molte altre strade praticabili diverse dalla corsa ad aggiudicarsi risorse finanziarie di durata compatibile con i tempi di rimborso delle stesse.

Metter fieno in cascina insomma, tanto con politiche di eliminazione degli sprechi e dei cespiti non strettamente necessari, quanto con l'approvvigionamento di finanza a lungo termine, l'unica idonea a sostenere gli investimenti infrastrutturali e materiali senza correre il rischio di mancato ri-finanziamento (lo sappiamo già: per qualche tempo esso risulterà assai difficoltoso!).

CONCLUSIONI

Come si può comprendere, lo scenario non è nero ma sicuramente è assai critico.

Il vero problema del nostro Paese è forse sintetizzato nel concetto che gli economisti chiamano di "moral hazard": la sua naturale tendenza a rilassarsi sotto l'ombrello di qualcun altro. Al riparo della BCE o degli USA, non impegnandosi cioè a sufficienza nel favorire un clima imprenditoriale favorevole agli investimenti e orientato allo sviluppo dei consumi.

La risposta potrebbe trovarsi innanzitutto nel "marketing territoriale" del nostro Paese, come pure nella possibilità di mettere a disposizione di chi investe, di chi fa ricerca, di chi assume, tanto la finanza (e i capitali) per farlo, quanto la fiscalità, la semplificazione burocratica, gli investimenti infrastrutturali (a partire dall'energia) che possono favorire la dinamica economica.

Ma soprattutto il nostro piccolo Stato deve poter decidere (politicamente come imprenditorialmente) che alla crescita vuole tornare davvero.
Perché è difficile lavorare (e cogliere delle grandi opportunità) se manca l'entusiasmo!

Stefano L.di Tommaso