Reportage da un mattatoio vince World Press Photo 2010

Un fotografo italiano, Tommaso Ausili, ha vinto il WORLD PRESS PHOTO 2010 (3° premio contemporary issues – stories) e dell’Iris d’Or – Sony World Photography Awards Photographer of the Year, col suo reportage "The hidden death" (Slaughterhouse) ovvero "La morte nascosta", reportage eseguito all'interno di un macello in Umbria.

Il vertice della catena alimentare consiste in un lungo processo che inizia da una fine: la fine della vita di un animale. Tra un animale vivo e qualsiasi pezzo di carne (sia asetticamente impacchettato sugli scaffali del supermercato o in bella mostra dietro il vetro del bancone del macellaio) c'è il mattatoio. Queste vere e proprie "catene di smontaggio" sono nascoste in anonimi edifici, circondati da muri di cinta, solitamente lontani dal centro delle città e sorprendentemente silenziosi dall'esterno. Lontano dagli occhi del consumatore, operai specializzati accompagnano gli animali verso gli ultimi istanti della loro vita, seguendo fredde e chirurgiche procedure. Nel "corridoio della morte", compiendo gli ultimi passi verso la cosiddetta "trappola", gli animali sembrano consapevoli del loro inevitabile destino. L'odore della morte è nell'aria, la paura serpeggia tra gli animali che aspettano il loro turno quando vedono quello che li precede scomparire dietro la porta d'acciaio della trappola. Le urla di terrore, il disperato scalpitare degli zoccoli sulle pareti metalliche della trappola sono il inequivocabile segnale, che perfino gli animali "irrazionali" comprendono, che una volta varcata quella soglia nessuno esce vivo.

Riportiamo la traduzione dell'intervista a Tommaso Ausili pubblicata su Photo Romania.

Come e quando hai iniziato ad avere una coscienza emotiva sulle tematiche animaliste?

Ho capito che, specialmente nel mondo occidentale, le regole basilari sono " niente morte", "niente sofferenza", "nessuna esposizione di corpi morti". Questo perchè non c'è nulla di più atroce e doloroso della morte. Gli esseri umani combattono questa sofferenza sin dall'inizio della loro storia. Eppure, nulla è più naturale della morte. Per sconfiggere l'idea della morte, cerchiamo di renderla innaturale, asettica. Ma, siccome l'uccisione di animali per scopo alimentare prova il contrario, preferiamo coprire il fatto sotto uno spesso velo; preferiamo non vedere, non sapere. E ci siamo spinti al punto che dimentichiamo che ciò che sta nel nostro piatto proviene da una uccisione. L'uccisione degli animali è stato un modo per me di pensare alla condizione umana: la morte è un tabù perchè non vogliamo soffrire. Respingiamo l'idea della morte per via del nostro edonismo, vogliamo essere felici, perfetti e immortali. Ed è impossibile costruire la nostra felicità sul dolore. Non vogliamo credere che ciò che mangiamo è la conseguenza di uccisione, di morte.. Per questo motivo costruiamo le nostre barriere..nessuno muore più, umani o animali. Nessuno soffre più. Ma è, secondo me, il pericolo maggiore: la perdita della nostra natura, delle consapevolezze antiche. Secondo Eschilo solo attraverso il dolore raggiungiamo la vera conoscenza , siamo nati per soffrire perchè non c'è un inizio senza una fine.

Hai menzionato il grande impatto avuto su di te dalla serie "Mattatoio" di Mario Giacomelli. Ci dici qualcosa in più a proposito?

Per onestà, non conoscevo la serie di Giacomelli, nonostante ammiri tutto il suo lavoro. Non sono l'autore del blog in cui le sue parole venivano citate per accompagnare le mie fotografie. Penso che se avessi letto prima le sue parole, sarebbe stato anche più difficile iniziare questo progetto.

Il più delle volte i mattatoi sono ben tenuti e ben nascosti. Ci racconti come sei riuscito ad essere presente? Hai dovuto corrompere qualcuno per entrare? Hai avuto il permesso di fotografare o hai avuto bisogno di permessi? Ci sono state lamentele formali da parte della società dopo l'esposizione pubblica dei tuoi lavori?

No, non ho dovuto comprare o pagare nessuno. Entrare nel mattatoio è stato così difficile quanto decidere di rimanerci. Certo, non ti puoi presentare, bussare alla porta e dire che sei un fotografo che vuole fotografare il mattatoio. Arrivare ai contatti giusti è stato come una caccia al tesoro. Ho iniziato dal macellaio che conosco in paesino di campagna dell'Italia centrale. Ho chiesto se conosceva qualcuno legato al mattatoio. Mi ha mandato ad una azienda agricola, ho incontrato il veterinario del macello, sono andato lì con la mia macchina fotografica spiegando cosa cercavo. Ho assicurato che il mio lavoro non aveva lo scopo di documentare nessun tipo di brutalità verso gli animali e che non volevo descrivere i lavoratori come mostri. Ho spiegato che non ero interessato a mostrare gli esseri umani. Ho spiegato che il mio obiettivo era descrivere in modo rispettoso e senza pregiudizio ciò che le persone non vogliono vedere. Il veterinario mi lasciò entrare. Ho chiamato questa serie "la morte nascosta" non perchè, come ho scritto, il mattatoio nasconda segreti ma solo perchè siamo noi che preferiamo non vedere, non pensare dell'origine del nostro cibo.

Per fare l'avvocato del diavolo, alcune immagini sembrano costruite, come quella degli agnelli che guardano verso i loro simili senza pelle. Come rispondi a questa provocazione?

L'immagine che hai citato non è assolutamente costruita: sarebbe stato difficile mettere tre agnelli in quella posizione facendoli stare fermi per qualche tempo. Li ho trovati in quella posizione e sono stato fortunato che sono rimasti fermi per il tempo necessario. Ho costruito solo l'immagine del maialino in posizione fetale. Ho visto questo maialino così piccolo a confronto con gli altri, da suggerirmi l'idea di un aborto. Ho lavato il sangue e l'ho messo rispettosamente in quella posizione (quando dico "rispettosamente" intendo che l'ho spostato con le mie mani e con tutto il rispetto che un corpo umano merita). Non essendo questo un "puro" lavoro di foto giornalismo e non essendo quello che visto una pura "notizia", ho pensato di poter interferire con il soggetto per calzare la fotografia ai miei obiettivi; cioè creare una consapevolezza di ciò che c'è dietro ad ogni pezzo di carne. Quindi, la serie potrebbe rappresentare una probabile parabola per l'esistenza dell'uomo contemporaneo. Siamo nati nelle istituzioni e trasciniamo per tutto il tempo le nostre vite all'interno di canali e percorsi, corridoi e sale, verso un finale prestabilito all'inizio. Facendo questo lavoro mi sono fatto molte domande, specialmente se è più importante la qualità della nostra vita o la qualità della morte. In Italia ci sono norme severe a proposito del tipo di morte che viene data agli animali, per non farli soffrire. Gli animali vengono uccisi dopo la recisione della giugulare. Ma, apparentemente, non ci sono molte regole che stabiliscono il modo in cui gli animali devono essere tenuti quando sono in vita. L'industria della carne, con la sua sovrapproduzione, ha creato l'allevamento in batteria. Dove gli animali sono legati per tutta la (breve) vita, senza potersi muovere o vivere all'aperto. Sembra che non siamo sensibili a questo; siamo più attenti alla loro morte che vogliamo essere meno dolorosa possibile. Forse perchè in questo modo ci liberiamo dai sensi di colpa. Lo stesso può essere detto a proposito delle vite umane, specialmente parlando di eutanasia. Io penso che la qualità della vita sia più importante della qualità della morte e se la qualità della vita non è soddisfacente, allora è meglio morire. Coloro che pensano che la morte non può essere data da esseri umani, pensano che la qualità della vita debba arrendersi al principio che la morte debba essere data solo da Dio, cosa che disapprovo fortemente. Sono stato in Spagna per lavoro e ho visto molte corride. Coloro che sono contrari alle corride non dovrebbero considerare solo il mero combattimento nell'arena ma avere una conoscenza più ampia della materia. Ho visitato molti allevamenti di tori e visto questi animali vivere liberi in spazi incontaminati per tutta la vita, che dura tre anni. Gli animali sono ben tenuti e molto rispettati. Certo, muoiono in modo violento ma con una possibilità di sopravvivere. Se potessi, preferirei essere un toro spagnolo, piuttosto che un manzo italiano che vive una vita povera ma con una morte indolore.

Sei vegetariano? Con quali argomenti sosterresti i pro e contro?

Non sono vegetariano e non vorrei esserlo: è un movimento principalmente cittadino, dove le persone hanno il privilegio di inserire un intermediario tra loro ed un animale vivente. La stessa cosa non avviene in campagna. Io parteggio per un uso ragionevole e sostenibile della carne, come dovrebbe essere in generale il nostro approccio all'uso di tutte le risorse del pianeta in cui viviamo.

Tutte le tue immagini hanno un forte impatto visivo. Probabilmente, se stampate su qualche packaging alimentare avrebbero lo stesso effetto di repulsione simile delle immagini stampate su alcuni pacchetti di sigarette. Perchè le persone scelgono di vivere in "negativo" per quanto riguarda queste istanze?

Ho scelto di eseguire questo lavoro utilizzando un filtro estetico di forte impatto, perchè era, per me, l'unico modo per farlo. Sarebbe stato molto più facile mostrare semplicemente l'orrore. Più facile ma, allo stesso tempo, meno rispettoso verso gli animali. Mostrare l'orrore, il mero sangue o l'atto stesso dell'uccisione, avrebbe provocato uno shock; ma avrebbe provocato una sensazione breve destinata a sparire. Usando un registro estetico, invece, ho lasciato che l'orrore arrivasse in un secondo momento, dopo che l'osservatore entrasse in empatia con l'animale. Penso che chi vede le mie fotografie non rimanga immediatamente scioccato. È un tipo di violenza psicologica perchè a quel punto l'osservatore si immedesima nell'animale oggetto della fotografia.

Per favore, rendici partecipi dei riscontri avuti dalla critica e dal pubblico attraverso i media. Quali opinioni pensi di condividere maggiormente?

Sono stato molto sorpreso nel sapere che il mio lavoro ha avuto un così grande riscontro. Pensavo di aver fatto un buon lavoro ma non pensavo di aver toccato il cuore di così tante persone. Sono meravigliato dalla quantità di riscontri positivi. A volte desidero che qualcuno mi scriva dicendomi di essere disgustato dalle immagini o che il lavoro andavo fatto in un altro modo. Sarebbe più realistico e mi farebbe valutare in modo autentico i commenti positivi.

Il testamento di Ingrid Newkirk rappresenta un altro "pugno nello stomaco" per una società consumistica e sedata. Le tue immagini riprendono alcune delle campagna visive di maggiore impatto di PETA. Sei d'accordo nel loro percorso?

Sono d'accordo quando si tratta di bandire ogni sorta di brutalità o abuso verso gli animali. Sono contrario alla vivisezione e all'uccisione di animali da pelliccia. Non sono d'accordo allo sfruttamento degli animali nel circo, zoo o altre forme di intrattenimento con animali. Ma, come ho già detto, non metto sullo stesso piano l'uccisione a scopo alimentare. Questo è un aspetto doloroso, ma necessario, della nostra esistenza.

Stai facendo assaggiare al tuo pubblico la loro stessa medicina? Stai mettendo uno specchio davanti a loro? Dovremmo rendere i mattatoi trasparenti? Qual'è il compito finale dell'artista?

Porre uno specchio davanti all'osservatore è precisamente il compito della fotografia in se, o perlomeno del foto giornalismo. Mostrare la vita da qualsiasi punto di vista è, di fatto, mettere uno specchio di fronte a noi. Attraverso la fotografia ci guardiamo non solo come siamo ma anche come non siamo. La fotografia ci rende capaci di vedere ciò che non vediamo o che non vorremmo ma dobbiamo vedere. Con il mio lavoro ho cercato di mostrare ciò che è sotto i nostri occhi, ma che non vogliamo vedere ne pensare. Ho provato a me stesso, ma non solo, che quello che non vediamo non significa necessariamente che avvenga lontano da noi. Ho provato a rendere visibile una verità scomoda che non può essere nascosta. Non abbiamo scuse per ignorarla. Dopo aver scattato queste immagini mi sono sentito più leggero. Ho affrontato una verità scomoda e adesso riesco ad accettarla. Penso ci voglia più coraggio per ignorarla che per conoscerla. Questa potrebbe essere una ragione, come hai detto, per rendere trasparenti i muri dei mattatoi. Non perchè, come disse Tolstoj, la loro trasparenza induca le persone a non magiare carne. Ma perchè, attraverso la trasparenza, si possa vedere la verità e la verità conduce alla consapevolezza. Solo attraverso la consapevolezza siamo capaci di rendere le nostre vite più meritevoli di essere vissute e il mondo un posto migliore in cui vivere.

(Traduzione a cura di Livia Borile - Italia Meravigliosa - riproduzione riservata)

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Le Foto sono ©Tommaso Ausili - World Press Photo 2010

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