L'eccellenza della nautica italiana

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Da quattro anni, in occasione di Nauticsud, il salone nautico di Napoli, la società di partecipazioni Pentar Spa guidata da Maurizio Romiti presenta a pubblico e stampa una approfondita analisi del settore; se da una parte la nautica italiana conferma il primo posto mondiale per la produzione di megayacht oltre i 24 metri, dall’altra non può evitare di risentire della congiuntura economica mondiale.

Il “made in italy” viene dunque riconfermato come eccellenza nella scala di gradimento del pubblico più esigente anche nella nautica: esperienza, tradizioni, artigianato, cura maniacale del dettaglio, il tutto alla ricerca di quella massima qualità, eleganza e stile che sono i punti fondanti dell’immagine che ogni armatore esige dalla sua imbarcazione.

L’Italia mantiene dunque la leadership mondiale nella costruzione di magayacht (quota di mercato 2009 pari al 51,3%) in quanto la categoria dei grandi armatori, che comprende nel mondo circa 95.000 persone definite “ULTRA HIGH NET WORTH INDIVIDUALS”, preferiscono yachts italiani, per il 93% a motore e solo il per il 7% a vela.

Purtroppo l’anno 2009 è stato colpito dalla più grave crisi economica mondiale dal 1929.  E’ stata forse la prima volta in cui la globalizzazione ha fatto sentire al mondo per intero il suo significato e la sua forza e il settore nautico, nella sua generalità, ne ha risentito in modo pieno.

Pentar Spa, per l’analisi economica, ha individuato un campione di 54 società cantieristiche e 26 società di accessori nel settore della nautica da diporto, ed evidenzia che alla base del declino ci sono la crisi del mercato, la riduzione dei consumi e soprattutto la contrazione del credito, in particolare il leasing che veniva ampiamente utilizzato dagli acquirenti.

Servono soluzioni – ha osservato Romiti – si tratta di affrontare i problemi cronici della nautica italiana come la carenza di posti barca (uno per ogni 6 barche…) e poi il ruolo delle banche che in passato hanno assecondato l’ubriacatura affiancando iniziative spericolate e ora, per contro, hanno chiuso i rubinetti. Ma anche le imprese devono fare la loro parte: sono troppo piccole per reggere la competizione e la strada è l’aggregazione