Dove va l'economia?

Aria di Primavera? Non pensate che nello scrivere queste righe-si possa utilizzare una bella sfera di cristallo; mai come in questo scorso Aprile i segnali che provengono dalle piazze finanziarie di tutto il mondo sono stati così contrastanti.

Il disgelo, per molti, c'è già stato. Gli americani vedono la luce in fondo al tunnel, i tedeschi non hanno mai spento davvero i loro riflettori artificiali, fatti di efficienza ed elevata propensione agl'investimenti, i francesi "fanno sistema" e non si curano delle nubi all'orizzonte (anche se gli imprenditori e le banche qualche domanda in più dopo il reshuffle politico se la stanno facendo) mentre la Spagna è indecisa se continuare a fluttuare nel limbo della salvezza che arriva -per ora- dalla BCE o (come noi italiani non sapremmo mai fare) una bella doccia fredda riducendo subito salari, spesa corrente e quotazioni immobiliari.

L'Italia (come Sparta) non gioisce se Atene (la Spagna) piange, anzi, tentenna anche lei, con una classe politica consociativa che si ritrova compatta a fare muro (di gomma) contro gli assalti dei professori al governo (e delle piazze, che non ne possono più).
È bastata la notizia di un bando di gara Consip per nuove autoblù a far salire le quotazioni di Beppe Grillo attorno al 9% dei possibili consensi elettorali (e alla ribalta dei telegiornali) e questo la dice lunga sul "magone" dei nostri connazionali.

E allora, quale primavera, quella di Praga? Eppure l'aria di rinnovamento tira lo stesso, i mercati la annusano e le banche si riaffacciano alle migliori imprese con qualche timida operazione. Il mercato dei capitali invece sembra esprimere l'aggregato più cauto tra gli operatori -in testa quelli orientati al lungo termine, come assicurazioni e fondi pensione- esprimendo uno spread italiano in tendenziale rialzo e una scarsa propensione a sottoscrivere le nuove emissioni dei debiti pubblici dell'Europa del Sud (il mercato dei capitali è stato ampiamente sostituito in questo ruolo dall'intero sistema bancario europeo che ha potuto beneficiare delle due generosissime manovre di Long Term Refinancing Operations da €1000 mld l'una all'1% annuo della Banca Centrale Europea).

Dunque le aste dei titoli di Stato dei paesi "a rischio" sono tutto sommato andate bene "ugualmente" e anzi tutta quella liquidità ricevuta si sta riversando, almeno in parte, anche sull'economia reale!
Per questo torna di moda (e stavolta forse anche di attualità) il parlare di Eurobonds (o Growth Bonds -come qualcuno li ha definiti- se saranno, come spero, principalmente connessi a infrastrutture di più pubblica utilità europea). Si parla in queste ore di un "piano Marshall" dell'UE da €200 miliardi dove sarebbe coinvolta per la prima volta anche la BEI. Insomma: qualcosa si muove, anche se ben poco per merito nostro.

Un segnale sopra tutti gli altri è però significativo del "disgelo" dopo quattro lunghi anni di crisi, perchè rappresenta l'esatto opposto di ciò che si è manifestato a metà/fine 1988 all'inizio della crisi: il ritorno agli investimenti!
All'epoca dei sub-prime a causa sella caduta verticale di liquidità disponibile e di fiducia nelle prospettive dell'economia, si sono innanzitutto bloccate le spese per investimento, oggi le stesse potrebbero rappresentare invece la voce che si riprende di più (anche perché per molti non possono più essere rimandate), sebbene siano fortemente ridotte dalla scarsa disponibilità di finanziamenti alle imprese.

Al proposito degli investimenti e in particolare di quelli destinati alle innovazioni, una recente statistica mi ha davvero spaventato: il Venture Capital cresce negli USA e decresce in Europa (dove sono stati investiti solo €4 miliardi nel 2011, la metà che nel 2007) peraltro con contribuzioni che per quasi il 40% provengono dal settore pubblico!
Invece la domanda dei beni di consumo durevole risente troppo della mancanza di disponibilità liquide ed è al contrario in flessione.

Il punto è che la fine della recessione e la possibile ripresa degli investimenti industriali, la nuova formazione di stock di scorte e l'esaurirsi delle azioni di cautela degli operatori economici spaventati da un calo "strutturale" dei consumi, non è detto che coincidano con una ripresa economica, né tantomeno con un deciso rialzo dei listini azionari. Questi ultimi dipendono anch'essi dalla disponibilità di liquidità (oggi assai scarsa) e soprattutto dal livello atteso di rendite e profitti: poiché ancora per un lungo periodo questi ultimi potrebbero restare moderati quando non negativi, non ci sono diffuse aspettative di maggior valore sui titoli azionari del mondo occidentale, con poche eccezioni e quasi in nessun comparto. I loro corsi cioè (come pure quelli dei cespiti immobiliari) dovranno scontare una discesa di ancora forse il 20-30% e i rimbalzi che vediamo continuamente sui mercati sono forse simili a quelli di una pallina da Ping-Pong lungo una rampa di scale.

Le operazioni di rifinanziamento delle banche da parte della Bce hanno oggi rappresentato il principale catalizzatore della rinnovata propensione al rischio sull'investimento azionario ma alla fine ne alimentano anche la volatilità. Permangono gli squilibri globali mentre continua a intensificarsi il divario tra nazioni debitrici e creditrici, così come le incertezze legate alle prossime elezioni in paesi occidentali come Stati Uniti e Francia, alle grandi scelte relative ai debiti pubblici (privatizzazioni o altro) e infine all'andamento del prezzo del petrolio.
Le politiche di "quantitative easing" attuate dalle banche centrali occidentali non sembrano da sole in grado di impedire a lungo una possibile nuova escalation della crisi. Tutti concordano con la contemporanea necessità di grandi tagli ai bilanci statali e a misure fiscali e di intervento volte ad assicurare sviluppo economico e crescita dell'occupazione, ma soprattutto tutti guardano alla grande opportunità che fornirebbe ai mercati finanziari europei una nuova ondata di privatizzazioni!

È quest'ultima in definitiva la grande speranza degli operatori economici: la vera occasione per tagliare le unghie ad una classe politica spesso corrotta e per poter annunciare di conseguenza un drastico ridimensionamento del debito pubblico! Questo sì che rilancerebbe gli animi sfiduciati da una crisi nata da incertezze e timori sui principali strumenti di investimento dei mercati finanziari. Una crisi che va ammazzata con le stesse sue armi.
Però, visto che per realizzare quanto sopra occorre forza e compattezza dei principali paesi occidentali, i mercati per ora non ci scommettono un soldo bucato, esibendo un trend negativo di sottofondo che dovrebbe preoccupare i più.

Tuttavia, come dicevamo più sopra, il sentiment di mercato è "mixed" (confuso): con l'accelerazione dei principali indicatori degli Stati Uniti d'America (ma anche di Canada, Brasile e Australia) grazie all'aumento di occupazione e consumi, mentre in Giappone e Europa la crescita tocca il fondo e addirittura in India e Cina rallenta, le attività finanziarie a rischio hanno invece recuperato bene i loro corsi dall'inizio di gennaio. L'asset allocation dei maggiori investitori riflette diffusamente questo andamento, privilegiando il mercato "Corporate" rispetto a titoli di stato e liquidità, preferendo mercati emergenti e corporate bonds rispetto a Bund e titoli del tesoro americani. Ottimismo, insomma, nonostante ce ne siano ancora ben poche ragioni.

Vale la pena a qs proposito di citare un recente articolo apparso sull'Economist a proposito della tumultuosa espansione nel mondo della finanza islamica : un mercato da mille miliardi di Euro (cresciuto del 150% negli ultimi cinque anni) rivolto principalmente a finanziare le imprese che rispettano la Sharia (la legge islamica) attraverso particolari corporate bonds detti "Sukuk", le cui emissioni nel primo trimestre 2012 sono ammontate a più di €30 miliardi, circa a metà di tutto il 2011. Un'espansione che va anche a tappare un buco lasciato dalla corrispondente riduzione della liquidità fornita al sistema dalle Banche europee.

A mischiare le carte e scompigliare il quadro delle possibili previsioni si aggiunge anche l'ovvia constatazione che, se la politica monetaria negli Stati Uniti, Europa e ora anche in Giappone continuerà con approccio espansivo, i listini azionari potrebbero mostrare ulteriori sporadici segni di ripresa, sebbene l'intonazione di fondo resti ancora profondamente cauta per non dire quasi negativa.
Inoltre il prezzo del petrolio -oggi più volatile che mai- se arrivasse al di sopra dei 125/130 dollari al barile potrebbe mettere a repentaglio la fragile ripresa della crescita globale.

Contribuiscono poi a distorcere artificialmente i mercati finanziari alcune questioni generali, quali l'ampiezza delle dimensioni dello strumento comune di stabilità: l'European Stability Mechanism/European Financial Stability Facility (Esm/Efsf) nonchè delle risorse che il Fondo Monetario Internazionale può mettere a disposizione a sostegno dei titoli pubblici Europei:
"I provvedimenti che contribuiscono a mantenere su livelli artificialmente bassi i tassi di interesse, e di conseguenza anche i rendimenti dei titoli sovrani, scrive Stefan Hofrichter, chief economist di Allianz Global Investors sono un esempio di repressione finanziaria"
e cita questi esempi: l'inflazione oltre il 2% negli Stati Uniti e in Europa, che di fatto determina tassi reali negativi; l'acquisto di titoli di stato da parte di tutte le principali banche centrali, che ha distorto i prezzi del reddito fisso facendoli apparire in posizione di ingannevole stabilità; la regolamentazione a a favore dei titoli sovrani, poiché li considera in molti casi come privi di rischio; alcuni interventi diretti su mercati europei, per esempio in Austria con la limitazione dei flussi di capitali destinati alle controllate estere in Europa Centrale e Orientale, o in altri paesi tra cui Francia, Portogallo, Irlanda e Ungheria, dove alcuni fondi pensione sono stati trasferiti al governo nazionale.
Il fattore più importante è che i rendimenti resteranno strutturalmente più bassi rispetto alla crescita nominale del Pil nelle economie in cui i titoli di stato sono considerati di alta qualità. Per gli investitori obbligazionari le implicazioni sono immediate: il rischio di perdita per i rendimenti nominali è limitato. Tuttavia, in termini reali, le aspettative di rendimento sono molto basse e potrebbero essere persino negative.

Tutto lascia supporre perciò un movimento di "traslazione" orizzontale lungo i grafici che difficilmente si tradurranno in "accumulazione" fintantoché resteranno grandi perplessità di fondo circa la possibilità di far entrare l'Europa in area di crescita economica. L'impatto depressivo sui consumi infatti dell'aumento (in pieno corso) della disoccupazione come pure della pressione fiscale sono macigni contro i quali è difficile contrapporre ottimismo, possibile crescita della competitività e sinanco l'innovazione!
Quello che potrebbe riprendersi prima dei consumi è il corso degli investimenti infrastrutturali, strutturali e industriali, generando le basi perchè si possa sperare, nella seconda parte dell'anno o meglio a inizio del 2013 in una ripresa più solida e meno "congiunturale" di quelle cui ci siamo ormai abituati a partire dalla fine degli anni '90 (cataclismi, conflitti e shock energetici permettendo).

Oggi l'unica manovra che potrebbe seriamente convincere i mercati (e dunque anche il resto del mondo) del fatto che l'Europa potrebbe presto entrare in un circuito virtuoso fatto di

-disponibilità di credito-investimenti-occupazione-ripresa dei consumi-maggiori profitti-maggiori gettiti fiscali-minore pressione fiscale-ottimismo dei listini azionari-nuovi capitali a disposizione-riavvio dei moltiplicatori della base monetaria-ripresa dei valori immobiliari-interessi reali positivi-

può essere costituita dal coordinamento dei principali governi dell'area Euro nel procedere a: -liberalizzazioni, -privatizzazioni, -finanziamento delle stesse, -drastico conseguente ridimensionamento dei debiti pubblici e -finalmente magari- anche della spesa corrente e dunque della pressione fiscale!

Da un recente studio Eurostat arriva la conferma che nel 2010 la pressione fiscale italiana era già di 5 punti percentuali superiore alla media comunitaria. Un gap in via di ulteriore peggioramento di un altro punto e mezzo, per le misure assunte nel 2011. Rispetto alla media Europea noi italiani tassiamo meno i consumi e molto di più il lavoro e le imprese. Abbiamo la seconda aliquota implicita sul reddito d'impresa più alta d'Europa, 9 punti sopra la media. Sul lavoro incide un'imposta del 42,6% che crescerà di qualche punto ulteriore con la riforma Fornero, contro una media europea del 32,9% che è invece in calo (!!!)
Per questo motivo Mario Draghi, due giorni fa, ha lanciato un esplicito monito a Monti. Tasse e spesa pubblica devono scendere di molto, per non contrastare le deboli possibilità che il Paese ha di tornare crescere. Che non si possa fare, o che si tratti ancora di studiare come, sono penose frottole per chiunque segua la finanza pubblica italiana ed europea: la spesa per welfare italiana è meno della metà della spesa pubblica totale, dunque è falso che tagliar la spesa significhi tagliare i servizi. L'Europa continentale è piena di buoni esempi da seguire in proposito.

Una parola perciò va spesa a proposito della "spending review" : sembrerebbe che i possibili tagli possano servire a risparmiarci misure ulteriormente depressive dei consumi come ulteriori aumenti dell'IVA, ridurre il deficit per mantenere la promessa di pareggio entro il 2013 e solo in ultima istanza a trovare risorse per eventuali incentivi allo sviluppo economico, alla crescita dell'occupazione e all'incentivazione degli investimenti (attraverso una parziale defiscalizzazione). Come dire che le reali priorità del Paese si sono rovesciate!
Abbiamo poi constatato che invece l'Unione Europea si sta preparando proprio a misure straordinarie per rivedere la crescita economica.

In Italia l'occasione è ghiotta: quella della "spending review"! Il ministro dello sviluppo economico dovrebbe infatti incominciare a dire la sua, Monti dovrebbe decidere con Passera di quali stanziamenti (minimi) c'è bisogno (e in quali direzioni) per rilanciare gli investimenti italiani invece di celebrare l'attuale rito di rimpallo tra i ministeri per selezionare coloro che si inchineranno a M.me la Guillotine (le Provincie piuttosto che a Scuola o la Sanità). È adesso che andrebbero definite le priorità del Paese sulla base di quelle si dovrebbe lavorare ai tagli della spesa e ai corrispondenti impieghi delle risorse che se ne libereranno!

Potrebbe accadere? Io sono ancora ottimista. Se non interverranno eventi che possano severamente negativamente influire sulla possibilità di concertare almeno a livello continentale quelle manovre per lo sviluppo che permettano all'Europa e alla propria BCE di non decretare il proprio affossamento, alla fine qualcosa di simile si vedrà e potrebbe dare seguito ad una successiva importante riduzione della fiscalità dei nuovi investimenti in Europa delle imprese di tutto il mondo.
Ciò potrebbe generare un'ondata di ottimismo imprenditoriale di cui avremmo proprio bisogno, visto che resta poi il fattore più scarso tra le nostre invecchiate e rilassate popolazioni.

Se poi questo potrà tradursi presto in una concreta ripresa dei salari, dei consumi e infine dell'occupazione, è invece più arduo a dirsi, ma il seme della ricrescita sarà stato inesorabilmente gettato.

Stefano L.di Tommaso - La Compagnia Finanziaria